Renato Paternoster, scrittore, nasce a Barile nel 1958. Dopo gli studi classici, si laurea in materie letterarie, con la tesi “Basilicata, una regione problema?”. Fortemente appassionato di glottologia, ha scritto un saggio, nell’anno 2008, per il comune di Barile, intitolato “L’arberesche e l’italiano a Barile”, con l’ausilio dell’Università degli Studi della Basilicata. Ha scritto svariate poesie, e racconti brevi, che hanno riscosso un gran successo.
Ha pubblicato, di recente, una silloge poetica intitolata “Accordi di liberi versi”, e un romanzo: “Il caleidoscopio dell’amore”.
Come nasce la sua grande passione verso la scrittura?
Sin da bambino, ho avvertito la necessità di mettere nero su bianco i miei pensieri, ma, soprattutto, ho sempre avuto la grande curiosità di approfondire le mie origini, la mia lingua arberesche: durante la mia adolescenza, trovavo alcune attinenze con il greco antico, il greco bizantino, apprendendo, poi, l’appartenenza alla lingua indoeuropea. Iniziavo a ‘giocare’ con le parole con immensa gioia, e, successivamente, all’università di Bari, ho chiesto, al mio professore di filologia romanza di concretizzare un lavoro incentrato proprio su questa mia passione: la glottologia. Ricordo di aver fatto un elenco di trenta parole, revisionate, poi, dalla docente di glottologia Patrizia Del Puente. Ho pubblicato, dunque, il libro “L’areberesche e l’italiano a Barile”. È stato uno stimolo viscerale, quello di curare questo volume: la lingua arberesche detiene ancora il numero di vocaboli tramandati ormai da sei secoli. Molti non sanno leggerla, né scriverla, fuorché chi studia l’albanese. Moltissimi studiosi si sono recati a Barile, come l’ottimo linguista napoletano Tullio De Mauro, e la già citata Patrizia Del Puente, eccellente glottologa, che si impegna con grande passione, per indurre più persone possibil a comprendere l’entità di tutti i dialetti lucani.
La catarsi nella scrittura. Cosa ne pensa?
Focalizzandomi sulla poesia, posso affermare che non nasce mai facilmente, la complicanza risiede nella volontà di rendere breve il mio scritto. Poter esprimere un concetto che riguarda un sentimento, una sensazione, e descrivere oculatamente altri aspetti di vita reale, in pochi versi: tutto questo è arte, bellezza. Attraverso la poesia, aggiungiamo vita alla vita: non può che essere catartico, liberatorio, quando scrivo mi sento davvero molto bene.
Ha pubblicato vari libri, che hanno riscosso ottimi riconoscimenti. Quali, tra i tanti, ricorda con maggiore emozione?
Ho scritto un testo per un’opera teatrale, che mi ha donato bellissime soddisfazioni. Voglio ricordare, inoltre, con grande piacere, un mio racconto intitolato “La Normanna”, tramite il quale, l’anno scorso, ho vinto, a Ruvo Del Monte, un premio. Ricordo le emozioni: indescrivibili con le parole. L’ispirazione è avvenuta attraverso un’esperienza toccante. Mi trovavo con mia moglie in Sicilia, e, durante una passeggiata, abbiamo visto una ragazza barcollare, molto alta, bionda, con gli occhi chiari. Era visibilmente debole, seduta su una panchina. Un passante, anziano, la esortava ad alzarsi. Io ero profondamente dispiaciuto, provavo emozioni contrastanti tra loro.
Subito dopo la vacanza, al mio ritorno, ho deciso di dedicarle un ‘ritratto’: la ragazza, la sua famiglia, i nonni, che erano ortofrutticoli, e, successivamente, fondatori di una industria alimentare, il papà, avvocato, con cui essa ha vissuto molti contrasti, e il suo fidanzato, egiziano. Una storia commovente, da scoprire.
Quale messaggio vuole lanciare ai giovani, affinché possano ‘vincere’, attraverso i loro sogni?
Il periodo storico è complesso, la società non vive un momento idilliaco, le difficoltà sono svariate. Tuttavia dico ai giovani di non arrendersi, di credere fermamente in ciò che fanno con passione, e di perseguire, fiduciosi, nelle azioni mirate al raggiungimento dei propri desideri più profondi.
Carmen Piccirillo